Spunti e Disappunti

ECCO IL SINDACO DEL BUON GOVERNO

Ad un primo cittadino, quando parlano del suo Comune, gli devono brillare gli occhi! Senno è inutile che fa il sindaco, che si mette la fascia tricolore, che celebra matrimoni, taglia nastri, tiene conferenze.

Ci può levare mano!

Dev’essere innamorato del suo paese, come un fidanzatino, deve servire la sua gente, aiutare la propria comunità, rendere migliore la vita nel suo territorio. Certo, nella legalità, con gli strumenti che la legge gli mette a disposizione, con gli “arnesi” adatti ed efficaci, soprattutto, con impegno, capacità, caparbietà, onestà. E con passione. Si, perché se non ci mette cuore nessun risultato può essere raggiunto, se non lavora di buzzo buono nulla si può realizzare. Si diventa solamente dei passacarte, dei semplici impiegati.

Il sindaco dev’essere capace di governare i processi civili e politici della propria città, deve essere capace di indirizzare lo sviluppo sociale ed economico della sua comunità.

Perché se è vero “che di una città non godi le sette o le settanta meraviglie, ma le risposte che dà ad una tua domanda”, come c’ha insegnato Italo Calvino, così d’una città non ci si ricorda della piazza grande, delle balaustre rococò, o del viale illuminato, ma della pulizia e della salubrità dell’aria, dell’educazione e dell’accoglienza dei suoi abitanti, della risposta sincera e positiva “d’una tua domanda”.

Perché sono gli “uomini le mura possente delle città”, come diceva il poeta greco Alceo, non le pietre, non gli alberi, non le soglie delle porte, ma solamente gli uomini e le donne.

E un sindaco, prima d’essere un buon amministratore, deve essere un poeta, deve cioè saper cogliere, capire, interpretare e infine cantare a squarciagola l’animo segreto e autentico della sua città, deve intronare concittadini e “forestieri”.

Dovrebbe essere maestro, educatore, perché la vera politica deve avere una funzione educativa, edificante della società, deve indicare la meta, la direzione, il senso di marcia.

Ci si aspetta che sia come un “buon padre di famiglia”, deve lavorare per tutti e per ciascuno, soprattutto per gli “ultimi”, senza lasciare indietro nessuno.

Il sindaco deve’essere anche come un contadino, deve saper seminare e deve saper raccogliere, al punto giusto, né prima, né dopo.

E deve sapere che il seme può pure cadere tra le spine e in mezzo alla zizzania, ma con una buona “zappata” può salvare il frutto e l’annata. Perché, come dicevano i vecchi contadini, “ognunu azzappa la so’ vigna, cu bonu azzappa bonu vinnigna!”.

Il sindaco è un politico perché pensa al domani, alla vita che verrà, a come sarà la sua città. Pianta l’albero e sogna il futuro.

“Un buon governo, che sia tale, – scrive il poeta Pasquale Musarra – deve accendere le lampadine ogni sera / nelle stanzette dei piccoli uomini, negli anfratti all’aperto, negli ospedali di campo / nei crocevia multi-direzionali e, soprattutto, nelle segnaletiche di tutte le piazze / dove sono scritti i principi fondamentali del cantico del buon governo”.

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