Mafia, omertà, miseria, politica, ma anche tanta vocazione alla cultura e all’arte: un intreccio sempre attuale nella visione della “Sicilia” di Leonardo Sciascia

Oggi, 8 gennaio, abbiamo deciso di commemorare il centenario della nascita di Leonardo Sciascia, orgoglio siciliano, intellettuale, le cui tematiche risultano ancora molto attuali anche a distanza di trent’anni dalla sua morte.
Sciascia nacque nel 1921, l’anno del fascismo, a Racalmuto, un piccolo paese della provincia di Agrigento ricco solo di miniere.
Pensando a lui, non possiamo fare a meno di pensare alla nostra Sicilia, terra piena di folklore ma anche arretrata, martoriata da storie di mafie, pena e dolore. Tuttavia, pochi autori hanno un legame così profondo come quello dello scrittore. Egli fu infatti un maestro nello studiare i problemi e i costumi siciliani, sui quali sono incentrati i suoi romanzi più famosi, indagando soprattutto il tema della mafia che ha purtroppo profonde radici nella terra, ma che ormai, come lui ci ricorda “è un male che colpisce l’intera società italiana”.
Distaccandosi dagli stereotipi che descrivono la sua terra, Sciascia ha cercato di rappresentare un qualcosa in più, una Sicilia come “mondo” e non come una piccola realtà a sé stante. Per cercare di soddisfare questa idea, Sciascia ha utilizzato un metodo di scrittura scarno ed essenziale, aggiungendo però elementi di giallo, incentrando l’attenzione sulla parola e realizzando così una letteratura di ricerca critica e di denuncia.
Cosa denuncia l’autore? I mali della sua terra. L’arretratezza, a maggior ragione quando il progresso degli anni ’60, con l’industrializzazione del Nord Italia ha incrementato ancor di più le “differenze”. La mafia, non solo quella che parla attraverso le stragi, ma quella più subdola, una mafia d’atteggiamenti e intimidazioni che si alimenta con la paura collettiva.
Mafia, omertà, miseria e politica della Sicilia sono gli argomenti delle sue opere. Da qui nasce il suo impegno nel voler spiegare e raccontare segreti e movimenti di potere nella sua terra, a partire da quello mafioso che tutto avvelena. A tal proposito si ricordano le sue opere più importanti in merito: “Il giorno della civetta”, “A ciascuno il suo”.
I suoi romanzi prendono forma attraverso la chiave del giallo, un genere che coinvolge e che nasce dalla ricerca della verità. Non mancano però venature ironiche legate all’impossibilità di riconoscere, obiettivamente, i diversi aspetti della realtà e della menzogna (si può notare la forte influenza pirandelliana). Grazie alla scelta per alcuni suoi romanzi del giallo e dell’inchiesta, Sciascia ha saputo affrontare temi delicati e impegnativi, sollecitando l’interesse del grande pubblico attraverso i brividi della suspense e intrecci polizieschi. Si può quindi affermare che i gialli di Sciascia sono tali perché fungono da strumento di denuncia, sia essa civile, sociale e di costume.
Tra i suoi numerosi scritti non mancano argomenti di critica letteraria e di indagine sociale e politica, come “L’affaire Moro”, in cui avanza una sua ipotesi sull’assassinio dell’onorevole Aldo Moro.
Sciascia dedicherà gli ultimi anni della sua vita alla scrittura saggistica storico-letteraria e sempre allo studio del fenomeno mafioso, fino al maxiprocesso di Cosa Nostra nel 1986. Morirà tre anni dopo a Palermo nel novembre dell’89.