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Tra paura e voglia di battere questa pandemia, continuano le vaccinazioni contro il Covid-19. La testimonianza di Antonella Lao

Una delle professioni più a rischio in questo momento segnato dalla pandemia da coronavirus è quella dell’infermiere professionale.

Una categoria fatta da tanti giovani e meno giovani laureati in Scienze infermieristiche che si formano nelle principali sedi universitarie d’Italia.

Durante la prima ondata   medici e infermieri sono stati considerati gli angeli di questa emergenza, ma in questo secondo momento purtroppo non sempre è così, perché il comportamento non responsabile ha portato e porta ancora ad un aumento dei casi positivi di covid-19 ed un incremento dei ricoverati per coronavirus e ciò crea un super lavoro al personale sanitario che è costretto a turni estenuanti.

Antonella Lao è una giovane infermiera che svolge il suo lavoro con passione e tenacia presso il reparto malattie infettive dedicato al covid.19 dell’ospedale Garibaldi- Nesima di Catania ed è stata tra  i primi operatori della sanità a vaccinarsi.

Nei reparti, nei corridoi degli ospedali afferma Antonella “ non è facile vedere continuamente la gente che soffre ma che soprattutto non sa come evolverà la malattia e se riuscirà a rivedere i propri cari nel più breve tempo possibile”, infatti, continua Antonella “ho visto la sofferenza straziante di persone che telefonicamente dicevano addio alla propria famiglia perché non sapevano se li avrebbero rivisti.”

In esclusiva ai nostri microfoni Antonella Lao risponde alle nostre domande:

Antonella raccontaci di come nasce la  tua passione per la medicina e per il tuo lavoro?

Diciamo che non è cominciata da subito, perché da piccola avrei voluto continuare l’attività di mio padre diventando “rappresentante o commercialista”, nell’ambito del commercio in generale. Poi all’età di 14 anni circa iniziai a fare volontariato presso l’associazione “Umanità solidale” di Misterbianco, dove ho svolto per quasi 7 anni attività varie con ragazzi disabili sia fisici che mentali. Per noi volontari non importava la loro età, perchè comunque sarebbero stati i nostri ragazzi. In quegli anni ho capito che avrei voluto fare un lavoro che mi permettesse di aiutare chi soffriva, chi stava male. Successivamente crebbe sempre di più questo desiderio e capii che la mia strada sarebbe stata una laurea in professioni sanitarie. Inizialmente avevo scelto fisioterapia, perché ai concorsi a numero chiuso si potevano dare 3 opzioni (penso che anche adesso come 15 anni fa, sia ancora così). Poi però optai per la mia seconda scelta, ovvero infermieristica. Non ho mai pensato di scegliere medicina per 2 validi motivi (per me ovviamente). Il primo perché gli studi in medicina sono molto lunghi ed io avevo voglia di lavorare subito, il secondo perché il ruolo del medico è completamente diverso da quello dell’infermiere. Pur dovendo lavorare in sinergia perché non potrebbe esistere l’uno senza l’altro, l’infermiere ha un contatto diverso e diretto con il malato. Voglio sottolineare che io non faccio parte della vecchia scuola di infermieri (con rispetto parlando), ma oggi siamo dei professionisti veri e propri con tanto di albo ecc. Siamo Dottori in infermieristica. Laurea a tutti gli effetti come tante altre del metodo 3+2. Lo sottolineo perchè purtroppo tante persone credono ancora che noi siamo degli esecutori dei medici,mentre non è così.

Antonella so che lavori nel reparto covid-19 del Garibaldi, raccontaci  come si svolge la tua giornata lavorativa?

Così come in tutti gli altri reparti, facciamo turni di 7 ore ( la mattina ed il pomeriggio) e di 10 ore nel turno notturno. A volte per esigenze di reparto i turni non sono regolari e quindi si possono verificare delle eccezioni di tanto in tanto che variano gli orari. Fondamentalmente da noi ci sono soltanto reparti di degenza covid, ovvero 2 su 2 livelli e pertanto facciamo dei turni per entrare in modo da non stare per troppe ore bardati in quel modo che conoscete benissimo e che non ci permette di lavorare in maniera tranquilla. Mettendoci d’accordo tra noi colleghi, in genere cerchiamo di stare all’interno dell’area covid non più di 3 ore perché poi iniziamo ad avere difficoltà a respirare ed altre esigenze fisiche. Purtroppo però a volte capita di dover stare anche 5/6 ore bardate e li si comincia a soffrire. Io per fortuna ho la possibilità di poter ruotare con i colleghi, ma ci sono dei reparti dove per carenza di personale questo non è possibile. All’interno dell’area eseguiamo la terapia medica, rileviamo i parametri vitali, eseguiamo i prelievi ematici ed i tamponi (quando richiesti) e poi gli operatori OSS eseguono le attività domestico-alberghiere.

Come è difficoltoso dal punto di vista emotivo esercitare questa professione in questo periodo di emergenza covid-19?

E’ molto difficoltoso perché non è facile vedere continuamente la gente che soffre ma che soprattutto non sa come evolverà la malattia e se riuscirà a rivedere i propri cari nel più breve tempo possibile. Per cui psicologicamente per noi diventa spesso pesante e difficile cercare di infondere sicurezza e serenità al paziente che non ha solo bisogno di essere rassicurato, ma che cerca delle certezze che spesso non siamo in grado di dare. Riuscire a rimanere lucidi e distaccati non sempre è facile, perché attorno ad ogni paziente ci sono situazioni familiari e di vita quotidiana che rispecchiano noi stessi e che ci coinvolgono in prima persona, rimanendo impotenti. In questo periodo più che mai è stato difficile molto difficile trovare quell’empatia che ci permette di svolgere al meglio il nostro lavoro.

Nella tua professione rischi tanto,  come concili il rischio che vivi in rapporto al tuo stare in famiglia?

Ultimamente è chiaro che la paura è diventata più forte soprattutto per i nostri familiari, per chi come me ha dei genitori anziani, ma anche per chi ha dei nonni, dei figli, ecc. Il rischio fa parte del nostro lavoro sempre e di ciò ne teniamo conto, ma in questo periodo particolare la paura di essere dei vettori, dei portatori per i nostri cari, è stata maggiore. Io fortunatamente vivo da sola e non in famiglia, e questo mi ha aiutato molto per sostenere questa situazione. Sono riuscita ad essere di loro aiuto, rimanendo a distanza. Cosa che molti miei colleghi non hanno potuto fare, e spesso si sono sentiti in colpa per essere stati portatori del virus in casa. Penso a tutte quelle persone sole, che non hanno avuto e non hanno la possibilità di essere aiutati al meglio in questo periodo e che addirittura hanno la paura di sentirsi male (oltre che per il covid), per altri motivi, perché sanno che in questo periodo è tutto amplificato e tutto può non essere gestito in maniera adeguata.

Come avvengono i contatti tra i pazienti covid-19 e i loro famigliari?

Durante il periodo di degenza purtroppo non possono esserci contatti se non per via indiretta tramite i cellulari per chi è in grado di tenerli ed utilizzarli, altrimenti i familiari vengono giornalmente contattati dalle assistenti sociali presenti in reparto, che coadiuvate dai medici forniscono informazioni circa lo stato di salute dei congiunti ed eventuali comunicazioni in merito alla loro permanenza in reparto o spostamenti o dimissioni o necessità di biancheria pulita ecc.

Tu sei stata tra i primi  operatori della sanità ad essere stati vaccinati a Catania? Quali sensazioni, quali sentimenti hai provato nel momento in cui ti stavi vaccinando? Cosa diresti ad una persona per convincerla a vaccinarsi?

L’emozione è stata grande, ma nessuna paura. Aspettavo con ansia questo momento perché per me segna l’inizio di una nuova fase, quella in cui soltanto uniti più che mai potremmo cominciare a rivedere la luce in fondo al tunnel. Si, credo di essere state tra le prime perché il carico di prime dosi sono arrivate da noi il 30/12/20 ed io ho scelto la prima data utile e cioè il 02/01/21. L’assonanza di numeri mi suonava bene. Vorrei tanto riuscire ad essere in grado di convincere più persone possibili a vaccinarsi. Io posso solo dire di essere fiduciosi nella scienza ed in tutte le persone che da mesi hanno studiato e lavorato per la realizzazione di questo vaccino. Lo avrei fatto a prescindere dalla professione che svolgo, perché credo che ognuno di noi abbia l’obbligo morale e sociale nei confronti dell’intera umanità e non solo per la propria cerchia familiare. Credo fermamente nella medicina  e nell’aiuto che i vaccini hanno dato in tutti questi anni per sconfiggere malattie che mai sarebbero state sconfitte senza. Questo vaccino non sarà da meno, ma è chiaro che con l’egoismo e la paura non si va da nessuna parte. Proteggiamo noi stessi proteggendo gli altri e l’arma che abbiamo a disposizione per farlo, è proprio il vaccino. La medicina non è una scienza esatta ed è chiaro che un margine minimo di errore, ci sarà sempre, ma sicuramente è una scienza in continuo aggiornamento ed in costante miglioramento e ci fornisce ogni dettaglio per comprendere al meglio quello di cui stiamo parlando. Cerchiamo di essere intelligenti, andiamo ad informarci su fonti reali e certi, lasciando perdere le false notizie. Un aiuto in questo senso lo fornisce L’AIFA (agenzia italiana del farmaco). Se il vaccino non avesse superato tutte le fasi di studio, non sarebbe mai stato messo in commercio. Approfittiamo di questo grande aiuto e non sprechiamo tempo in inutili congetture. Il vaccino è stato prodotto in meno tempo rispetto ad altri, perché sono stati stanziati ed impiegate persone per 10 volte quelle dei normali vaccini effettuati fino adesso che non riguardavano certo una pandemia di tale entità.

Se ti capitasse di incontrare un negazionista, cosa gli diresti?

Gli direi se in tutti questi mesi ha provato sulla sua pelle cosa significa il dolore per la perdita di una persona cara, perchè penso che sia impossibile per chi ha provato il lutto di un amico, di un parente, non vaccinarsi. Ho perso tante persone care in questi mesi ed ho visto la sofferenza straziante di persone che telefonicamente dicevano addio alla propria famiglia perché non sapevano se li avrebbero rivisti. Non capisco perché accanirsi così tanto contro qualcosa che abbiamo aspettato con impazienza. Io lo rifarei altre 10 volte se questo potesse servire ad evitare altre morti ingiuste che questo virus sta portando. Ancora adesso non mi capacito di come alcune persone non siano più nella mia vita, ed è proprio per queste persone che voglio sperare nell’unione di molti. Sono sicura. che da lassù ci guarderanno e ci ringrazieranno, per avere in certo senso contribuito a far si che la loro morte non sia stata invana per altri.

Quando pensi che potremmo superare questa emergenza covid-19?

Non c’è certezza per rispondere a questa domanda. Penso che se la maggior parte della popolazione si vaccinerà, potremmo arrivare alla fine del prossimo anno non come quello appena passato. Oserei dire che già dalla prossima estate potremmo iniziare a respirare di più senza mascherina e poter dare, perché no, anche qualche abbraccio. Per adesso però dobbiamo continuare a mantenere tutte le misure adottate sin ora, nonostante il vaccino. Io stessa che il 23/01/21 eseguirò la seconda dose del vaccino, continuerò ad indossare la mascherina e mantenere le distanze, almeno fino a quando non vedrò risultati oggettivi e vedrò vaccinate tutte le persone a me care. Purtroppo il vaccino non ci da un’immunità del 100%, ma sicuramente ci aiuta tanto.

Cosa ti auguri per questo nuovo anno 2021?

Mi auguro che tutte le persone che fino a ieri ci chiamavano eroi, non siano i primi oggi a non darci il loro sostegno ed il loro aiuto. Perché noi non siamo degli eroi, ma soltanto dei professionisti che amano il loro lavoro e che lo fanno come sempre senza nessuna aggiunta, e che credono fortemente che la salute fisica e psichica siano il bene primario per l’uomo, senza il quale non avrebbero motivo di esistere tutte le altre cose. Spero che questo 2021 possa portare tanta speranza e salute a tutti.

Voglio infine fare un augurio ai giovani che si avvicinano a voler intraprendere questa strada professionale. Dico a loro di non farlo solamente per trovare un “lavoro facile” o dei soldi facili, perché non è così. A mio avviso la nostra categoria non sarà ripagata mai abbastanza in termini economici, perché effettivamente non lo è, per il tipo di responsabilità che abbiamo. Scegliete piuttosto questo lavoro soltanto se siete in grado di farvi bastare il sorriso di tutti i pazienti che sapranno apprezzare il vostro operato. La nostra missione è quella di alleviare le sofferenze degli altri con professionalità e conoscenza e di migliorare sempre di più l’opinione pubblica sbagliata che spesso si crea attorno la nostra figura.

(In foto: Antonella Lao, giovane infermiera)
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