Spunti e Disappunti

I social… nella buona e nella cattiva sorte

Ho conosciuto i social qualche anno fa, quand’ero al Nord, quasi per caso, per passatempo, per compagnia, soprattutto per restare vicino al mio mondo, in contatto con i miei amici. Per esserci, per dire ancora la mia, con sobrietà, pacatezza, sincerità, e tanta ironia. Si, perché “davanti” ai social non bisogna mai prendersi sul serio, mai fare i saccenti, i cattedratici, i sapientoni; mai strafare, stra-dire, strattonare; mai calcare gli aggettivi, togliere virgole, aggiungere esclamativi. Si rischia di essere incompresi, barbosi, pesanti, o peggio ancora illeggibili, da “bannare”. Inoltre, non bisogna mai essere banali, ripetitivi, ordinari, ma cercare sempre d’essere precisi, completi, lucidi.

Poi, quando sono rincasato, non mi sono più distaccato dal mio “profilo”. E adesso “frequento” i social perché li considero utili, validi, produttivi, se usati con intelligenza e parsimonia, con oculatezza e rigore. I social (Facebook, Twitter, Instagram, WhatsApp, Telegram, LinkedIn, Tik Tok, e altri, ognuno con utenti e scopi diversi) sono formidabili strumenti di comunicazione, di informazione, di divulgazione; facilitano la conoscenza, la socializzazione, l’integrazione; danno una mano alla cultura, alla scuola, alla scienza, alla politica, allo sport; creano benessere, vicinanza, amicizia; ci fanno sentire meno soli e meno isolati dal “resto del mondo”. Aiutano la partecipazione e la democrazia. Danno cittadinanza attiva. Danno libertà. Ma attenzione, bisogna saperli “maneggiare” con cura, cautela, accortezza. Sempre. Perché i social sono come il coltello: può servire per tagliare il pane o per uccidere un uomo. Tale e quale. E le “parole sono pietre” che possono salvare o possono fare tanto male.

Ma la questio adesso è anche un’altra. Forse più difficile, più insidiosa, più complicata da capire e da intelligere. E sta tutta dall’altra parte della “barricata”, dentro lo schermo, a due passi dal mouse e dalla tastiera. Afferisce ai responsabili, ai titolari dei social, ai padroni della Rete e dei motori di ricerca.

Può un imprenditore privato (tali sono i gestori dei social) controllare e decidere chi può parlare e chi no? Chi può usare un social e chi no? Fosse il “giovane” del Piano Duca o il padrone del mondo. Fosse il sindaco del Rione Sanità o il presidente degli Stati Uniti d’America. Che sia il proprietario a decidere “chi può vivere sui social e chi no” è una cosa “semplicemente pazzesca”. E’ il sintomo più evidente della crisi profonda (e temo irreversibile) delle nostre democrazie. Perché si, è successo. “Hanno deciso che il Presidente degli Stati Uniti non abbia diritto di esprimersi. Hanno deciso di oscurarlo, neanche fosse Adolf Hitler”. Perché oggi è Trump, domani potrebbe essere il “giovane” del Piano Duca, potrebbe essere chiunque altro, chiunque la pensa in maniera differente dal “pensiero unico”, dal pensiero dominante, dal pensiero voluto dal capo del “vapore online”.

A ben pensarci è una cosa “semplicemente pazzesca”. O forse c’è una spiegazione. Perché c’è sempre un motivo dietro una decisione così importante. Forse, i “veri” poteri forti del mondo non hanno perdonato al dirimpettaio, ma oramai “sottostante” potere politico, di aver tentato di “aggirare l’ostacolo”, di averli sfidati (dopo averli usati) e di voler decidere con la testa propria.

Questa è la fine della democrazia. Il vero pericolo del nostro difficile tempo.

“Meditate gente, meditate”

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