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Rosario Livatino presto Beato

Nel corso del prossimo anno 2021, sarà proclamato Beato, Rosario Livatino, il Giudice ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990, aveva solo 38 anni.

Rosario era nato a Canicattì, in provincia di Agrigento il 3 ottobre 1952.

Aveva studiato presso il Liceo Classico ‘Ugo Foscolo’ di Canicattì e si era iscritto, poi, alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo dove si laureò con il massimo dei voti e la lode a 22 anni.

Studente brillante, come ricordava la sua insegnante di latino e greco, professoressa Ida Abate che ne curò una biografia nel libro «Il piccolo giudice. Fede e giustizia in Rosario Livatino» – editrice AVE – Febbraio 2013.

Sin dalla giovinezza partecipò all’Azione Cattolica e frequentò la parrocchia nella chiesa di San Domenico a Canicattì, dove teneva conversazioni giuridiche e pastorali, dava il proprio contributo nei corsi di preparazione al matrimonio e interveniva agli incontri organizzati da associazioni cattoliche.

Subito dopo la laurea iniziò a lavorare all’Ufficio Registro di Agrigento dopo aver vinto un concorso per vicedirettore. Ma vi restò meno di un anno. Nel 1978, dopo aver vinto il concorso in Magistratura, divenne Uditore Giudiziario presso il Tribunale di Caltanissetta e successivamente al Tribunale di Agrigento dove per dieci anni fu Sostituto Procuratore e successivamente Giudice a latere.

Rosario Livatino, a proposito della figura del magistrato diceva tra l’altro: «L’indipendenza del giudice, infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi che, per loro natura possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l’indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, da conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività».

Come ricorda la Professoressa Ida Abate Rosario, in tutte le sue agende, sulla prima pagina scriveva sempre le seguente sigla: S.T.D. “Sub Tutela Dei”, Sotto la tutela di Dio.  Tra l’altro si deve a lui la frase che rimane scolpita nei cuori di molti Credenti: «Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili»

Il giudice Rosario Livatino aveva 38 anni quando il 21 settembre 1990, di mattina, venne inseguito e ucciso lungo la strada statale 640 che da Caltanissetta porta ad Agrigento dove si recava per andare al lavoro presso il Tribunale. La sua Ford Fiesta rossa venne affiancata e speronata dall’auto dei suoi assassini. Il Giudice Livatino, ferito ad una spalla, tentò la fuga per i campi giù dalla scarpata, ma, raggiunto, venne ucciso con un colpo di pistola in faccia.

Livatino era da solo, aveva rifiutato la scorta proprio per proteggere altre vite.

Il motivo che spinse i gruppi mafiosi di Palma di Montechiaro e Canicattì a colpire il Giudice fu la sua nota dirittura morale riguardo l’esercizio della giustizia, radicata nella fede. Come scritto nella sentenza che ha condannato al carcere a vita sicari e mandanti, Livatino è stato ammazzato perché “perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l’espansione della mafia”.

Il 9 maggio 1993 durante la sua prima visita in Sicilia Giovanni Paolo II, incontrò i genitori del magistrato, poco prima di rivolgere il suo celebre anatema contro i mafiosi nella Valle dei Templi, ad Agrigento: «Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio! Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!»

Proprio un anno fa, il 29 novembre 2019, Papa Francesco incontrando nella Sala Clementina, in Vaticano, gli iscritti al Centro Studi “Rosario Livatino”, ricordava come Rosario “continua ad essere un esempio, anzitutto per coloro che svolgono l’impegnativo e complicato lavoro di giudice”. E, continua, “Livatino è un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni”.

Il 22 dicembre scorso il Papa ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto che ne riconosce il martirio. Autorizzata anche la promulgazione dei decreti che riconoscono le virtù eroiche di altri 7 Servi di Dio: Vasco de Quiroga, Bernardino Piccinelli (al secolo: Dino), Antonio Vincenzo González Suárez, Antonio Seghezzi, Bernardo Antonini, Ignazio Stuchlý, Rosa Staltari.

Per il Giudice Livatino la Santa Sede ha riconosciuto il martirio «in odium fidei». Il riconoscimento del martirio porta direttamente alla beatificazione, senza bisogno che sia riconosciuto un miracolo per intercessione del Servo di Dio che già nel 1993 San Giovanni Paolo II aveva definito «martire della giustizia e indirettamente della fede»

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